Native Construct – Quiet World [2015]

Dopo l’ipertecnica esecutiva nel metal progressive da qualche anno é arrivato un approccio ipercompositivo. Non più solo velocità, ma strutture musicali sempre più complesse, ricche di temi e variazioni, modulazioni e stratificazioni. Composizioni levigate che non sempre significano maggiore durata. Che poi con questa ipertrofia tematica -tanto amata dalla parte prog del prog metal- si rischia di perdere il filo e far capire ben poco -vedi alcune cose dei Between The Buried and Me– é un altro discorso.

Native Construct, anche se mantiene l’ossatura tipica dei 5 elementi prog metal, é in realtà ai credits composto da chitarrista, cantane e bassista. Influenze da curriculum prog metal, tempi e cambi complessi, ritmiche pesanti, tecnica sopraffina. Le traccie passano velocemente da cavalcate pesanti sostenute dal terzinato sulle ritmiche o ritmiche da technical death metal a divertenti dialoghi teatrali, da sequenze growl a 240 bpm a unisoni tipicamente prog metal da lick of the week. L’ipertrofia di temi e variazioni é sempre presente, anche all’interno dei pezzi più brevi. Un ottimo lavoro sulle linee melodiche vocali e di chitarra che evitano i clichè più comuni e le cadenze trite e ritrite. Le progressioni armoniche sostenute dall’orchestra delle tastiere non sono mai scontate.

Proprio Mute parte con un’orchestra pomposa, si muove su un musical in stile Broadway con tanto di chitarre all’unisono a la Queen e poi una piacevole sequenza smooth jazz. La strofa di Passage é un tema folk trattato con divertente pomposità -mi rivengono in mente gli A.C.T.. Your Familiar Face é un divertente pezzo musical.

Ironia tanta, ma anche i clichè classici del prog: temi che ritornano tra un pezzo ed un altro, la breve intro in fuga bachiana di Chromatic Lights che prelude all’epic di Chromatic Aberration. Dodici minuti per il pezzo più lungo: iniziano con il tema dal sapore gyspy jazz, ripreso dalla traccia di apertura, poi la prima strofa solare e melodica che ricorda gli Haken di Streams, quindi una intricatissima sequenza strumentale tastiera-chitarra-batteria con cambi di tempo, unisoni e stacchi al limite -un riff da trascrivere! I tempi si allungano nella seconda parte crescendo lentamente verso il finale orchestrale, una progressione conclusiva che scioglie finalmente il pezzo.